domenica 11 ottobre 2015

Accademia di Belle Arti | "Bianca", pastelli su tavola

La pittura, come la intendo io, è principalmente materia e stratificazione. In tal modo, anche se la pittura si svolge nello spazio, rende bene sia l'idea del tempo, sia della memoria. Così, nel 1996, cominciai ad interessarmi alle tavole che utilizzavamo per i disegni all'accademia. Queste tavole erano in legno, materiale che risponde benissimo alla pittura materica, inoltre avevano superfici decisamente vissute: segnate dai colori e patinate dal tempo. Il primo lavoro che tirai fuori fu Bianca, uno studio a pastelli della modella.

Piero Golia c'era... era infatti il primo anno che Piero Golia si era aggiunto al gruppo "storico" , ovvero a coloro che lavoravano da qualche anno al corso di nudo dell'accademia di belle arti di Napoli. Quel nucleo era noto ai piani alti dell'accademia, come "gli anarchici"
Così si era definiti dagli studenti e dai prof dei corsi ufficiali, gente che evidentamente deteneva lo scettro del gusto in fatti d'arte. Non mi risulta che ci fossero attivisti politici fra di noi, e quel titoletto così casualmente calato dall'alto, pareva riguardare più la formazione di molti di noi, provenienti da altri settori per lo più estranei all'arte plastica...
Dal 1994, però, il gruppo degli anarchici aveva cominciato a far parlare di sé, infatti quell'aggregato di personalità e percorsi tanto diversi cominciava a dare i suoi frutti...

Tornando alle tavole, dopo quel primo esperimento a pastelli, cominciai a dargli dentro con la pittura, imbrattando buona parte delle tavole disponibili. 
La pacchia durò finché il prof non mi disse di smetterla. Al che risposi: "Obbedisco!"

Bianca, pastelli su tavola - Gianluca Salvati 1996

sabato 10 ottobre 2015

Franco Chirico va al "campo dei preti" | Cammino neocatecumenale: setta e filantropia

Anni fa, prima che Franco Chirico si dedicasse alla filantropia (acquistandomi ben 2 quadri nel 1997) e secoli prima di venire a conoscenza che il sant'uomo aveva famiglia a Caracas (2004), lo vidi dirigersi verso il campo dei preti con la chitarra in spalla. 
Era una domenica pomeriggio, si era in primavera ed io prendevo il caffé fuori il balcone, quando vidi passare Franco Chirico così conciato: camicia bianca smanicata, pantaloni e scarpe scuri. E quella chitarra in spalla che era tutto un programma...
C'era una notevole distonia fra scopo e intenzione. Verosimilmente il Chirico si dirigeva al campo dei preti, la parrocchia dei Rogazionisti alla Pineta, dove ci sono anche un parco e i campi sportivi e dove il Chirico opera come responsabile della comunità neocatecumenale. (Inoltre Franco Chirico è il principale editore del Cammino Neocatecumenale). 

Il tipo pareva assai scoppiato come se stesse dirigendosi ad un proprio personale calvario, con la chitarra al posto della croce. O stesse andando a prendersi a botte (a chitarrate in testa) con qualcuno, probabilmente un fariseo
Per chi non lo sapesse, i neocatecumeni sono in costante colluttazione, fisica e mentale, con il diavolo. 
E forse il Chirico stava andando ad affrontare il diavolo in persona...

Franco Chirico mentre va al campo dei preti

Il problema per questo tipi di sistemi è stabilire chi è il diavolo e come contrastarlo... In genere questo processo viene calato dall'alto, in virtù di strane consapevolezze, esoteriche, da parte di chi è a capo di quei sistemi.
Quindi ecco il Chirico, vecchia conoscenza dei salesiani, che si appresta a compiere il proprio dovere di buon cristiano, come un automa. Forse un tantino impacciato dai tanti fili che lo manovrano, ma un vero soldato non si pone domande.


Esoterismo: (dal greco esoterikós = interno) dottrina riservata ad un numero ristretto di iniziati, i discepoli. Esoterico è l’aggettivo con cui si indica tale carattere di segretezza, mentre essoterico (dal greco exoterikós = esterno) definisce il carattere pubblico di altri insegnamenti.
 
Scrittori e opere, Marchese/Grillini – ed. La Nuova Italia

giovedì 2 aprile 2015

Pittura figurativa oggi: "Le Pharaon" | Federico Garcia Lorca - Ritorno

Ritorno

Assassinato dal cielo
fra le forme che vanno verso la serpe
e le forme che cercano il cristallo
lascerò crescere i miei capelli.

Con l'albero di moncherini che non canta
e il bambino col bianco volto d'uovo.

Con gli animalini dalla testa rotta
e l'acqua lacera dei piedi secchi.

Con tutto quello che è stanchezza sordomuta
e farfalla annegata nel calamaio.

Contro il mio volto diverso d'ogni giorno.
Assassinato dal cielo!

*Federico Garcia Lorca*, poeta

Le Pharaon, olio su tela - Gianluca Salvati - 2005 Caracas


martedì 27 gennaio 2015

Arte contemporanea - colore e luce | Scrittori e opere, Marchese - Grillini

Colorismo: (agg. colorista) in pittura, tendenza a far prevalere il colore sul disegno e sulla linea; effetto stilistico basato sul colore più che sulla composizione o che mette in risalto le qualità del colore. Nell'arte rina­scimentale si può trovare un esempio di pittura coloristi­ca in Tiziano , nelle cui composizioni le qualità tonali del colore assumono un'importanza fondamentale. Nella pittura moderna, Delacroix e gli lmpressionisti ci offrono due esempi di prevalenze del colore sulla linea. Delacroix, in polemica con la tenden­za di Ingres ad «esagerare i contorni», fa una pittura ba­sata su forti contrasti di colore, poiché solo il colore, che è luce, può dare spessore, e quindi vita, alle forme. Anche per gli Impressionisti le forme non possono essere ottenute con le linee, ma con i colori, che vengono stesi con rapidi colpi di pennello per suggerire l'impressione della mutevolezza e transito­rietà dell'immagine.
Scrittori e opere, Marchese/Grillini

1997, olio su tela - Gianluca Salvati - 1997

martedì 28 ottobre 2014

Enrico Cajati alla collettiva di Spazio Arte | Arte e metodo

All'inaugurazione della mostra collettiva nell'ottobre del '99 era presente Enrico Cajati, un pittore assai interessante. Enrico Cajati era stato insegnante di Alessandro Papari e di Francesco Verio all'istituto d'arte. Paolo Mamone Capria e il La Motta già lo conoscevano. 
Ero l'unico che non aveva ancora l'onore di conoscerlo. Ma di Enrico Cajati avevo sentito parlare anni addietro da un architetto e mi ero entusiasmato per il suo "metodo". 
Lo spiega in questo scritto Salvatore Vitagliano, che lo conosceva bene.  
[...] Nel ’67 la grande svolta. Enrico Cajati giunse alla determinazione di “mettere tutto sullo stesso piano”; appiattendo quindi quella superficie materica che aveva elaborato con tanti anni di sperimentazione e che lo aveva portato alla Biennale di Venezia (a 28 anni) e tornò a quella fonte originaria dove non più il caso ma la costruzione, la costanza, la tecnica, l’osservanza delle regole saranno principi  a cui cercherà di obbedire per tutto il resto della propria vita.
Ho detto “cercherà” perché un uomo del suo istinto e della sua immediatezza gestuale, musicale, dovette castigarsi notevolmente per raggiungere degli apprezzabili risultati, ma in questo castigo di uomo proiettato nel futuro che voleva raggiungere il passato, sta forse la chiave di tutta la sua grandezza. I suoi piccoli quadri informali divennero bozzetti di un lavoro futuro che ha del pazzesco; egli li cominciò a disegnare su fogli lucidi, poi procedeva allo spolvero e una volta riportato il disegno su tela, iniziava il lavoro di campitura, di chiaroscuro, di velature, e quando il risultato finale non lo soddisfaceva, ecco una tinta nuova ricoprire tutto e di nuovo un nuovo inizio e alla fine un nuovo daccapo, e ancora a ricominciare: un buon dipinto va fatto e rifatto sei volte, diceva, e come il Dio creatore egli lavorava sei volte e non meno di sei giorni all’Opera che era tutto il suo mondo. Ma il suo non era un cancellare, bensì un ricoprir di veli, e solo occhi attenti alla pur minima vibrazione di colore potevano catturarne le infinite sequenze di quelle luci nelle tenebre.
(Salvatore Vitagliano - 2002)

  
Enrico Cajati era una macchietta, spiazzava di continuo gli interlocutori passando, apparentemente, di palo in frasca, sembrava un folletto... in realtà seguiva dei percorsi molto pertinenti riuscendo ad essere istruttivo e divertente allo stesso tempo. 
Aveva il dono della semplicità.

Fabiana Minieri, Paolo La Motta, Francesco Verio, Alessandro Papari, Paolo Mamone Capria

domenica 5 ottobre 2014

Uomo che saluta: un pittore napoletano a Caracas | Collezione Franco Chirico, neoatecumeno

Esposto nel giugno 1997 all'Accademia di Belle Arti di Napoli, fu acquistato da un conoscente dei miei genitori, il tipografo religioso Franco Chirico. "Anche se ha tre dita - mi confessò - pare che dica: Vado dove voglio io! ". La profetica frase di quest'uomo timorato di dio si avverò: pochi anni dopo avevo preso la via dell'estero. 
Col tempo ho riscontrato che "le vie del signore sono piuttosto limitate"... 
Giunto nel 2004 a Caracas, ho scoperto che, nello stesso quartiere dove vivevo, abitava la famiglia di origine di quel sant'uomo (meno di 300 metri di distanza)
I nipoti di Franco Chirico hanno frequentato la stessa scuola  dove io ho insegnato. Quando si dice: le coincidenze della vita... C'era una mia collega del Codazzi che ne dava una spiegazione ben più colorita. Lei aveva trovato un monolocale sul corso di Sabana Grande e scoprì che proprio affianco al suo appartamento viveva un giornalista italiano della Voce d'Italia, (Piero Armenti), conoscente di una sua amica. Questi monolocali dove vivevano lei e l'Armenti, erano stanze ottenute dalla stessa abitazione, cosicchè, da un certo punto di vista, la mia collega viveva sotto lo stesso tetto del giornalista. 
Stranamente, lei aveva avuto difficoltà a trovare casa: le persone che contattava tramite annunci di giornale, al momento di dare l'ok al contratto d'affitto, sparivano con delle scuse banali. Come se a Caracas le leggi del mercato immobiliare fossero diverse rispetto al resto del mondo, seguendo altre logiche.

Uomo che saluta, olio su tela 1997 - Gianluca Salvati - coll. Franco Chirico
Eppure, da che mondo è mondo, uno straniero pagante è sempre il benvenuto per chi affitta case: è puntuale nei pagamenti e non crea problemi. 
Ritornando al dipinto "Uomo che saluta", il suo acquirente non figurava nella lista degli invitati alla mostra. Mi pareva troppo freddo riguardo ai miei lavori, non solo rispetto ai miei estimatori, ma in confronto a tanti visitatori occasionali. C'era un altro signore della stessa comunità di neocatecumeni, di cui Chirico era responsabile, che aveva manifestato viva ammirazione per i miei lavori appena un anno e mezzo prima. 
Nel giugno del '97, in sua vece, si presentò Franco Chirico nella doppia veste di visitatore e acquirente. In quel periodo, oltre a dirigere il cammino spirituale dei miei genitori, il Chirico pagava mio fratello per dare lezioni di violino a sua figlia. La ragazzina seguiva le lezioni controvoglia e non studiava. Ciononostante, mi ero fatto l'idea che il tipo fosse un filantropo amante dell'arte, anche se nel personaggio notavo diverse stonature.
 
La mia collega di Caracas, quella che non riusciva a trovare casa, mi diceva che non era facile essere chiamati per insegnare all'estero: i pochi posti disponibili erano piuttosto ambiti. In effetti mi trovavo a riflettere sul fatto che fossi l'unico insegnante abilitato, ma ero certo di non aver usufruito di alcuna "spinta" per essere chiamato ad insegnare a Caracas, o almeno così credevo... In caso contrario, si trattava di un favore mai chiesto, assolutamente avverso ai miei progetti e a me.

sabato 4 ottobre 2014

Storia di un logo | #Khalil Gibran - Stencil art, elefante in cammino

Credo che la massima aspirazione di ogni pittore sia dipingere sui muri. Non so quanto possa essere valida per gli altri pittori, ma lo è sicuramente per me che disegnavo sui muri prima di imparare a scrivere.
Da alcuni anni assistiamo sconcertati a forme di espressione quali i graffiti di strada che non hanno altra valenza se non l'atto vandalico in sé. Specie quando si prendono di mira edifici storici o monumenti.
Nonostante ciò, da quando mi sono occupato di pittura ho avuto una costante curiosità per i "segni di strada". Curiosità costantemente delusa, dato che raramente ho trovato qualcosa che valesse la pena guardare. Almeno qui in Italia.
Mi sarebbe piaciuto confrontarmi con i colleghi delle bombolette, ma troppi aspetti del loro lavoro non mi piacevano. Per esempio il fatto di dover lavorare rapidamente e in condizioni di stress. Per questo se avessi deciso di dedicarmi a questa forma di street art avrei optato per una tecnica più rapida, usando delle maschere: gli stencil.

Nel 1999 ero intenzionato a provare questa tecnica en plein aire, ma non volevo vandalizzare muri, per quanto brutti e anonimi.
La soluzione mi venne al ritorno da una passeggiata al bosco di Capodimonte (sede dell'omonimo museo). C'era un pezzo di tronco d'albero abbattuto del diametro di un metro e mezzo circa. Faceva al mio caso. Dovevo muovermi perché prima o poi l'avrebbero portato via.
Tornato a casa disegnai un elefante su un cartoncino, l'immagine proveniva da una rivista. Era un po' piccola ma ben fatta. Mi dava le informazioni essenziali sull'anatomia dell'animale. E poi era in cammino. Funzionava.
Volendo decorare il disegno di scritte, adoperai una poesia da un libro di Gibran, Il profeta. Scelsi la prima che mi piacque, essendo un autore che non avevo mai letto. Completai lo stencil col mio nome e cognome, l'anno e il tipo di spray adoperato. Avevo una bomboletta blu già adoperata per altri usi più prosaici. Ritagliai le lettere e i segni col trincetto.
Il lavoro era pronto.
Ritornato una sera al bosco, attesi l'orario di chiusura. Volevo lavorare con calma come mia abitudine.
Mentre aspettavo che facesse buio, si era tra fine agosto e i primi di settembre, il cane era con me, notai una ragazza poco lontano da me. Anche lei lì, distesa sull'erba ad attendere.
Che ci faceva una ragazza lì, a quell'ora, con tutti i maniaci che ci sono in circolazione?
Dato che non se ne andava e non pareva avere grandi preoccupazioni, mi domandai se era il caso di rimandare la mia "azione artistica". Essendo troppo pigro per cambiare idea, decisi di andare a verificare di persona. Mi avvicinai e presi a conversare con lei. Scese la notte e la tipa non accennava ad andarsene, neanche, che so, un gesto di nervosismo: avrei giurato che dovesse passare la notte lì. Così le spiegai cosa ero andato a fare quella sera al bosco. La giovincella si dimostrò divertita. Raggiungemmo il tronco che era poco distante da lì e, col suo aiuto, realizzai lo stencil art #Khalil Gibran.

Qualche giorno dopo portai, "casualmente", la mia ragazza nei pressi di quel tronco. Quando lei vide l'opera cominciò a ridere e non la finiva più.

#Khalil Gibran, stencil art 1999 - Gianluca Salvati

ps  la foto sopra è una realizzazione successiva del medesimo stencil su tela (100x70): per tinteggiare il fondo ho impastato ocra rossa in pigmento (ossido di ferro), quella adoperata in edilizia, e acrilico bianco. 
L'elefante è realizzato con uno spray acrilico color tabacco. 
Il lavoro, successivamente rielaborato, è diventato il logo del blog storia di un quadro, che narra le vicende di un pittore che un giorno è andato a lavorare a Caracas